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25 aprile, Festa della Liberazione: la nostra riflessione

Il 25 aprile di quest’anno ricordiamo il settantottesimo Anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ѐ la Festa della Liberazione, che costituisce anzitutto un tempo per accogliere e rinnovare la sfida della memoria e per fare opportunamente della memoria una trasfusione, secondo la magistrale lezione di Elie Wiesel.

Inoltre, l’istituzione di una ricorrenza così fondamentale, nel senso più proprio di evento simbolicamente fondativo del nuovo ordine giuridico e politico ispirato ai principi e valori della libertà, della democrazia e della sovranità popolare da esercitare entro i definiti confini della Costituzione repubblicana, ha un significato ulteriore, tanto più importante quanto maggiore è, anno dopo anno, la distanza degli eventi che si ricordano. Si tratta dell’intenzione di vestire la memoria di tradizione, vale a dire concretizzare la volontà di tramandare qualcosa da una generazione all’altra, come rivela l’etimologia della stessa parola tradizione, che ha origine dal verbo latino – tradere -, perché la memoria divenga anche generativa e la lezione della Storia sia condivisa con quanti non l’hanno vissuta.

“Dove inizia la memoria?” si domandò Elie Wiesel incominciando il proprio intervento a Montecitorio nella Giornata della Memoria del 2010 e ricordando i terribili giorni vissuti nel campo di sterminio di Buchenwald. Ecco, forse c’è un livello metafisico, un’identità prima di ogni uomo, che pone l’uno al confine dell’altro il bisogno della memoria e la necessità dell’oblio: entrambe urgenze ontologicamente insopprimibili per l’uomo.

Ci tornano in mente alcuni pensieri contenuti in un articolo di Brunetto Salvarani che richiama la narrazione del Talmud a proposito del tormento della memoria in Elie Wiesel: secondo il libro sacro, che raccoglie commenti e pareri alle norme etiche, giuridiche e rituali del popolo ebraico, quando il bambino, ancora all’interno del corpo della madre, sta per nascere, una luce gli splende sul capo e, grazie ad essa, apprende tutta la Torà. Quando arriva il tempo di uscire ed entrare nel mondo, un angelo gli posa le dita sulle labbra così che dimentichi tutto e non possa parlarne in futuro. Di conseguenza, Salvarani osserva, parafrasando la litania dei tempi di Qohelet, come si possa dire che ebraicamente ci sia un tempo per fare memoria e un tempo per astenersi dal ricordare: un tempo per fare memoria, perché quanto accaduto non abbia più ad accadere, e un tempo per astenersi dal ricordare, per non vedersi inchiodati a un passato, e alle dolorose responsabilità degli atti compiuti, che va superato, messo in discussione.  

La Festa della Liberazione è così una ricorrenza ma anche la forma in cui si concretizza per l’intera comunità nazionale l’esigenza principale di un tempo per fare memoria, senza tuttavia dimenticare anche il correlato disagio a vedersi inchiodati al passato che appare conseguenza della definitiva, drammatica, banalità del male a cui ci ha condotto l’insegnamento di Hannah Arendt. Insegnamento che ci esorta a pensare a ciò che facciamo perché, ove sia al contrario assente un pensiero critico adeguato a sovrintendere a ciò che facciamo, l’agire umano può giungere sino al confine estremo, là dove, nell’apparente assenza-morte di Dio, manca ogni misura e norma etica.

Il tempo che trascorre è itinerario e congiunge idealmente le contrapposte esigenze di un tempo per fare memoria e di un altro per astenersene. Così condiviso, il tempo, a beneficio di tutti, è illuminato da una luce: quella irradiata dalla Costituzione repubblicana. Questa è Legge Fondamentale e patto sociale in cui è, a chiare lettere, proclamato l’antifascismo, come segno della trasfusione di memoria del costituente ma anche come manifestazione della volontà di tramandare, da una generazione alle altre, dunque constituere, una tradizione. Ѐ – per richiamare ancora l’insegnamento della Arendt – ciò che ovunque ci renderà una Polis, persino al di là di uno spazio materiale, definendo quello che indissolubilmente accomuna tutti i consociati pressoché in ogni tempo e in ogni luogo e quindi descrivendo l’identità nazionale attraverso i principi e valori che mettono al centro la persona umana, riconoscono i diritti di libertà, affidano l’esercizio della sovranità al popolo ma anche la limitano nella forma e nei confini a quanto stabilito dalla Costituzione perché mai possa condurre a rinnegare la libertà che esprime.

Infine, mai drammaticamente attuale come nel tempo in cui la guerra è nuovamente comparsa alle porte dell’Europa, la liberazione dell’Italia è ripudio della guerra. Perché di fronte alla guerra, qualunque guerra, la ragione sembra arrendersi all’irragionevole e deporre le proprie “armi”, e ogni trasfusione di memoria sembra essere stata inutile. Ѐ proprio quello il Tempo in cui è necessario ricordare la Luce che splende sul nostro capo…

Massimo Asero