,

Un’intervista a Guido Savasta, borsista del Programma di ricerca “Idea – Azione”, sul tema della tratta

Tratta, “a Palermo aumenta lo sfruttamento nelle case del centro storico”
E’ quanto emerge dall’indagine di Guido Savasta, ricercatore-borsista presso l’Istituto di scienze sociali Pedro Arrupe, sul “ruolo della comunità nigeriana all’interno del sistema antitratta”. Le proposte: aumentare il lavoro di rete e fornire alle ragazze validi percorsi per uscire dal circuito criminale.

 

PALERMO – Aumenta a macchia d’olio lo sfruttamento sessuale delle ragazze, vittime della tratta nigeriana, non solo in strada, ma soprattutto in case private (Connection House) in alcune aree del centro storico di Palermo. E’ un fenomeno ancora molto sommerso, quasi invisibile, su cui bisogna intervenire a più livelli, attraverso un capillare lavoro di rete, ampio e costruttivo, sia sul piano della sensibilizzazione sociale che dell’azione preventiva e di aiuto di queste ragazze con un maggiore coinvolgimento della comunità nigeriana e delle altre comunità di immigrati.

E’ quanto emerge dall’indagine di Guido Savasta – volontario presso il Centro Astalli di Palermo e Medici Senza Frontiere e oggi ricercatore-borsista presso l’istituto di scienze sociali Pedro Arrupe – sul “ruolo della comunità nigeriana all’interno del sistema antitratta”, durata un anno nell’ambito del programma di ricerca “Idea azione” finanziato dalla Sylff association di Tokyo. Nello studio sono state ascoltate sul tema 20 persone tra operatori di vario livello, mediatori, volontari e assistenti sociali di realtà pubbliche e private. Tra queste, hanno dato il loro contributo il Ciss, il progetto Maddalena, Le Donne di Benin City, fra’ Loris D’Alessandro, Il pellegrinino della Terra e la Caritas.

“La tratta delle ragazze nigeriane nelle Connection House è ancora un problema nascosto che purtroppo non si vede – afferma il ricercatore Guido Savasta – e che quindi apparentemente non desta preoccupazione o allarme sociale. La repressione della tratta in strada ha inevitabilmente accresciuto il fenomeno che è difficile da quantificare: secondo alcune informazioni apprese dall’associazione Le Donne di Benin City – composta da ex vittime che, in tre anni ha aiutato parecchie ragazze – nel centro storico, rispetto alle 30 presunte case, esistenti 6 mesi fa, oggi sarebbero salite a 40. Nella gran parte dei casi gli interventi si concentrano quasi esclusivamente su chi è vittima della tratta in strada e poco su quello delle case segrete dove queste ragazze vengono sfruttate senza mezzi termini”. La situazione di queste donne, per la gran parte giovanissime e alcune anche minorenni, si è ancora di più aggravata dopo l’entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza e l’immigrazione. “La legge sull’immigrazione e sicurezza, nelle diverse articolazioni, infatti, accresce la paura e favorisce una maggiore irregolarità – continua il ricercatore – perché le vittime, spesso senza permesso di soggiorno, sole e senza riferimenti, sono vulnerabili e facilmente ricattabili dal sistema criminale sempre più violento, da cui difficilmente riescono ad uscire se non vengono adeguatamente aiutate”.

Nella ricerca, in particolare, si propone, per fronteggiare il problema, di coinvolgere maggiormente la comunità nigeriana. Questa, secondo un censimento del 2017, a Palermo é composta da 485 persone. “La parte sana della comunità nigeriana potrebbe dare un aiuto significativo ai fini delle indagini sui gruppi che gestiscono le Connection House – dice ancora Guido Savasta -. E’ pure una strada per creare dei ponti tra il sistema antitratta e le donne che vorrebbero uscire dal circuito criminale ma non ci riescono. I pastori e le sacerdotesse della chiesa pentecostale, per esempio, andrebbero coinvolti di più, considerato che vedono e incontrano queste ragazze in chiesa. L’associazione Il Pellegrino della Terra cerca di dare qualche risposta ma risulta sempre poco rispetto al fabbisogno complessivo. C’è quindi, secondo tutte le testimonianze raccolte, una forte necessità di programmi di inserimento socio-lavorativo finalizzati all’integrazione concreta di queste giovani. Purtroppo se a queste ragazze non si offrono delle alternative valide, cioè dei progetti di accompagnamento all’autonomia di vita, il rischio che ritornino sulla strada è molto alto”.

“La soluzione è sicuramente l’incremento del lavoro di rete. Il tavolo tecnico di contrasto alla tratta, nato nel maggio del 2018, voluto dal Coordinamento antitratta, dall’assessore Mattina e dal sindaco Orlando, è stato un passo significativo che deve spingere tutte le realtà a cogliere questo momento politicamente favorevole per dare maggiori risposte – prosegue lo studioso -. La frammentazione degli interventi sul tema che, però, ha caratterizzato per lungo tempo il sistema antitratta palermitano, è stato finora, un limite forte al supporto reale e all’assistenza delle giovani vittime. Una proposta su cui si potrebbe lavorare è quella della nascita di una comunità di accoglienza mista (nigeriana e italiana) per condividere lingua e cultura con le vittime sul modello della Praise House di Parma che è il ‘braccio caritatevole della comunità pentecostale. Questa potrebbe essere una strada da seguire per la salute ed il benessere di queste ragazze”.

“Inoltre, tra le iniziative da mettere in campo, considerato che si è appurato che, tra i clienti delle vittime della tratta che vengono sfruttate nelle case, ci sono molti stranieri appartenenti a diverse comunità immigrate, andrebbe accresciuta la sensibilizzazione sociale. Occorre coinvolgere anche la Consulta delle Culture – conclude Guido Savasta – per accrescere la responsabilizzazione sociale sull’antitratta tra le diverse comunità straniere presenti a Palermo. Si potrebbero quindi promuovere in alcuni luoghi specifici, frequentati da diverse comunità immigrate, delle iniziative tutte improntate all’informazione e formazione sull’antitratta”. (Serena Termini)

© Copyright Redattore Sociale