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Lo strabismo dei potenti che invocano la legalità

Ancora una volta il problema dei senza tetto è tornato di attualità. Campeggia sulle pagine dei giornali insieme ad un altro tema ciclico: i privilegi della casta. Non si riesce a uscire dal teatrino tipico della nostra città per cui sui problemi si dibatte, si discute anche animatamente; poi tutto si accantona, si congela. Cala il sipario dell’attenzione pubblica. Non si attuano percorsi risolutivi che possano superare lo stato di disagio. Così, inevitabilmente, tutto si ripresenta uguale, se non più drammatico. Aumenta, da un lato, la disperazione di chi vive nella povertà e, dall’altro, il “callo sociale” che provoca indifferenza nella restante parte della città. Ci stiamo vaccinando assumendo, a piccole dosi, degrado urbano cosicché ormai non ci indigniamo più.
I senza tetto che occupano la Cattedrale chiedono una casa. Una delle funzioni cui presiede la pubblica amministrazione è quella dell’assegnazione degli immobili a chi versa in condizioni particolarmente svantaggiate. L’amministrazione, invece di prendere atto di alcune carenze nella gestione di questo settore di intervento e individuare iter alternativi che possano, in un medio termine, portare ad una nuova politica abitativa a Palermo, non riesce a fare altro che proporre soluzioni tampone che non risolvono. Al contempo, stigmatizza i più poveri e cerca di isolarli. L’argomento adottato è il rispetto della legalità. Nessuno mette in discussione che questo sia un valore da difendere ma in tutte le sfere. Non si può richiamare questo principio e poi, nei fatti, attivarsi solo per difendere i propri privilegi di casta. Il rispetto della legalità è, per i membri di un’Amministrazione pubblica, anche assolvere al mandato ricevuto e agire concretamente per risolvere i problemi che si presentano.

Nei confronti degli occupanti della cattedrale, inoltre, si concentra un profondo stigma sociale. Questi rappresentano quella fetta dei palermitani accusati di voler vivere sulle spalle dell’erario, di non attivarsi concretamente per cercare un lavoro, di dilapidare quello che guadagnano in beni superflui. Forse è così. Sono vittime di quella stessa malattia che ha contagiato tutta la città, anche se si manifesta in forme diverse. Loro sono forse i più facili da criticare perché il loro modo di porsi non è elegante e il loro lessico non è forbito. Ma in questa città molti cercano di vivere di assistenza, compresi quanti fra gli amministratori pretendono privilegi di status. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. È facile giudicare negativamente e girare gli occhi da un’altra parte. Intanto c’è tanta, troppa gente che soffre in questa città. Oltre a quelli che sono in Cattedrale ci sono tante altre realtà più silenziose e forse anche più drammatiche. Famiglie che vivono in case fatiscenti, senza servizi igienici, senza acqua corrente, senza niente da mangiare. Case del centro storico che stanno in piedi per scommessa, senza luce ma sature dell’odore acre della muffa. Qui vivono madri che devono elemosinare a parenti e amici pochi euro per un po’ di pane e pasta. Bambini che purtroppo non riescono neanche ad accedere a una corretta istruzione perché le condizioni delle famiglie sono drammatiche e mancano sia le risorse economiche che quelle culturali. È una storia di degrado che si perpetua, di generazione in generazione. Uscirne non è facile. Ci sono delle condizioni “strutturali”, “non scelte” che influiscono sulle concrete possibilità di azione degli individui. Il facile disprezzo appiattisce la complessità della situazione.

Stiamo spingendo i poveri ai margini della vita sociale e non guardiamo il loro disagio, anzi, lo additiamo con sdegno. Diciamo loro: “vai a lavorare e pagati una casa!”
È giusto. Ma forse dimentichiamo che molte di queste persone già lavorano. Forse dimentichiamo, anche, che il mercato del lavoro palermitano non è famoso per il pullulare di opportunità. Certo, i lavori umili si possono trovare. E quella gente li ha anche trovati; questi consentono di guadagnare cifre irrisorie che non consentono di mantenere dignitosamente una famiglia con diversi figli.
Ciò che turba è osservare come molti pretendono che i poveri restino in silenzio, che sopportino pazientemente. Perché dovrebbero farlo? Per non infastidire la parte bene della città? Per non turbare il suo voler essere cool, turistica, europea? No. I poveri hanno diritto a farsi sentire. Sono cittadini, hanno votato e contribuito ad eleggere dei rappresentanti nelle istituzioni. Ora devono avere ascolto e non essere trattati come un cancro da estirpare. Certo, è giustissimo fare controlli e isolare i “furbi” al fine di salvaguardare coloro che veramente mangiano pane e miseria. Non laviamoci le mani del loro dolore. Non generalizziamo con facili categorizzazioni e pregiudizi.
Se proviamo a conoscere meglio questa gente potremmo avere delle sorprese e scoprire persone che vorrebbero intraprendere un processo di riscatto, ma non hanno gli strumenti per farlo e necessitano di aiuto. Sono tanti. Coloro che stanno occupando la Cattedrale forse sono i più “rumorosi”. Non vogliamo difenderli tout court, assolverli da ogni colpa, ma vogliamo riconoscere loro il “merito” di aver portato alla ribalta un problema che non può e non deve essere taciuto. La speranza è che la rabbia di costoro possa consentire di attivare politiche con benefici sociali diffusi.
Alla base di questa occupazione e delle manifestazioni correlate, infatti, non c’è solo l’esigenza di trovare un alloggio per le famiglie della Cattedrale ma principalmente quella di attivare nuove politiche, di sbloccare assegnazioni ferme da troppo tempo, di fare un censimento delle case disponibili compresi i beni confiscati alla mafia, di attivare controlli che individuino ed escludano quanti non possiedono le condizioni per accedere ai benefici. Non si vuole, infatti, proporre un assistenzialismo incondizionato ma si vuole dare ascolto a chi non ha mezzi per chiedere il rispetto dei propri diritti e attivare politiche pubbliche che possono affrontare in maniera organica la carenza abitativa della città

Gianni Notari

La Repubblica – Ed. Palermo
7 ottobre 2008

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