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La riscossa civile di chi è fuori dalla casta

Oggi ci si trova dinanzi ad una situazione paradossale basata sulla continua negazione dell’evidenza dei fatti. Ci viene detto che tutto va bene, che il nostro Paese è divenuto un modello di efficienza, mentre tante analisi ci mostrano una realtà opposta, sconfessando con i dati queste affermazioni. Questa discrasia è divenuta la cifra stilistica della comunicazione politica che poggia su una scarsa tendenza della maggior parte dell’opinione pubblica all’approfondimento (fatte salve le eccezioni evidenziate dalla vivace e pacifica opposizione ai tagli alla scuola). Ipse dixit. Non ci si interroga oltre. Ma è bene rammentare che la democrazia è altro: è dialettica di posizioni finalizzata all’elaborazione di strategie politiche volte alla realizzazione del bene comune. Quando tutto ciò cessa di esistere, e si erge solo la voce del governo, allora c’è un regime. Per questo ben vengano le diverse denunce dei mali della società, delle logiche della casta, delle varie parentopoli, delle inadempienze dell’amministrazione. Reportage articolati e condotti con rigore che hanno occupato le prime pagine dei giornali stimolando – almeno speriamo – la riflessione con la loro analisi non retorica ma documentata.

È vero, però, che c’è tanto altro e che anche questo deve trovare posto nelle riflessioni: c’è un universo positivo che opera nel quotidiano, in silenzio, con passione.

Le analisi che evidenziano le numerose disfunzioni della nostra organizzazione sociale, infatti, se da un lato inducono indignazione dall’altro rischiano di innescare nel cittadino un senso di impotenza, di passività rispetto alla pervasività del negativo che lo circonda. Ancora peggio è il rischio del contagio comportamentale giustificato dal motto: lo fanno tutti perché io no? Per questo è importante, invece, allargare le analisi anche alla buone pratiche presenti sul territorio, dando a queste la visibilità che meritano. Ci sono tante associazioni operanti nel terzo settore, la cosiddetta società civile, centri sociali, chiese, sacerdoti, pastori, laici che si investono in prima persona, stando dentro le situazioni difficili in maniera costante, non limitando il loro esistere a dimensioni autoreferenziali. C’è tanta gente indipendente dal potente di turno, che non passa ore nelle sale di attesa a elemosinare una prebenda; ci sono tanti insegnanti e docenti universitari che sanno coniugare passione e competenza; ci sono tanti professionisti che fanno il loro lavoro con dedizione e onestà, pagando le tasse; ci sono operatori commerciali e imprenditori che con coraggio si espongono in prima persona denunziando le richieste di “pizzo” della criminalità organizzata; anche all’interno della “casta” ci sono consiglieri comunali che sono in prima fila al fianco di coloro che hanno bisogno, accompagnando con i fatti e non con le parole i cittadini in difficoltà, ponendosi come punto di riferimento senza chiedere tornaconti elettorali e senza la retorica di chi elabora vane strategie autopromozionali devolvendo piccole somme al fine di dare un po’ di lustro ad un’immagine appannata da continue negligenze. Ci sono assessori regionali che combattono una quotidiana battaglia contro interessi radicati e lobby di potere, per portare la Sicilia verso nuovi standard di efficienza e non relegarla nel ruolo di detentrice di record negativi. Ci sono funzionari nella pubblica amministrazione che vivono con profondo disagio la dipendenza passiva dei loro direttori dalle ragioni politiche degli assessori.
Tanto non funziona in questa terra, è vero; ma c’è anche tanto altro che merita visibilità e rispetto e che può rappresentare un plateau di piccoli esempi di eroismo quotidiano, perché le grandi trasformazioni non devono partire per forza “dall’alto” ma possono originarsi dal prodotto delle singole azioni individuali: nel bene e nel male. L’attenzione si sofferma spesso su ciò che non va, perché fa molto più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce; ciononostante la città e la regione sono in fermento e c’è una diffusa domanda di cambiamento che alcuni vorrebbero strumentalizzare.
La grande operazione culturale e politica di cui ha bisogno la Sicilia è quella di raccordare tutte le persone che credono nel rinnovamento e si adoperano nel quotidiano per realizzarlo. È necessario “pubblicizzare” queste esperienze che sono più diffuse di quanto comunemente si crede e che rappresentano fermenti innovativi da valorizzare per migliorare la qualità della vita nel nostro territorio. L’isolamento, lentamente, produce atrofia e degenerazione per cui questi semi rischiano di morire o di doversi vendere al miglior offerente del mercato politico per sopravvivere. Uscire dall’isolamento e creare sinergie, invece, può portare anche alla costituzione di un nuovo soggetto politico. Non un ennesimo partito ma un movimento di cittadini responsabili, capaci di autonoma riflessione e di intervento al servizio del cambiamento; che sappiano “occupare” in maniera propositiva i posti in cui si decide il destino della gente: le segreterie di partito, i luoghi in cui si fa pianificazione strategica, le associazioni di categoria, etc. Tutto ciò verso un nuovo modello di sviluppo che integri la crescita economica e la felicità della gente.
Uno strumento operativo per realizzare questa “svolta” propositiva può essere la creazione di spazi di condivisione e di confronto in cui elaborare ed esercitare una cittadinanza attiva. Nell’ottica di un modello di democrazia deliberativa, infatti, la società civile può raggrupparsi attorno ad una progettualità condivisa per ridare un’iniezione democratica al tessuto sociale cittadino e regionale. Tale forza trasformativa – partendo dal “basso” – può animare i condomini, i quartieri, le circoscrizioni, le scuole, le università, le associazioni conquistando un potere contrattuale alla pari nei confronti dei decisori pubblici, in vista non dell’acquisizione di privilegi ma della crescita complessiva del territorio. Allo stesso modo queste esperienze non devono essere finalizzate all’autoreferenzialità di un leader né devono rimanere autoreferenziali a esse stesse. Tale approccio è l’unico strumento della trasformazione, in un contagio democratico che ci auguriamo possa presto contagiare tutta la città e il territorio regionale.
C’è una tempesta in atto nella nostra terra, ma si vedono tanti piccoli arcobaleni.

Gianni Notari
(da  La Repubblica – Palermo, 12 novembre 2008)