Venti anni fa, il 16 novembre 1989, uno squadrone delle morte inviato dal governo salvadoregno uccideva sei gesuiti scomodi dell’Università Centroamericana “José Simeón Cañas” di San Salvador, insieme ad una collaboratrice e la figlia quindicenne.
Questi i nomi dei religiosi: Ignacio Ellacuría, Segundo Montés, Ignacio Martín Baro, Joaquín Lopez y Lopez, Juan Ramon Moreno e Amando Lopez. Le donne si chiamavano Elba Julia Ramos e Celina Mariceth Ramos.
I gesuiti, in Salvador, sono sempre stati impegnati nell’osservazione partecipante di una realtà politica segnata dalla violenza repressiva di un governo ostile a qualsiasi movimento che andasse in direzione di speranze riformiste.
L’ottica della «liberazione», infatti, fu per loro fatale in un clima già difficile in seguito al martirio di Mons. Oscar Romero (1980) e allo scoppio della guerra civile (1981-1992).
Ma, come diceva Ignacio Ellacuría, rettore della UCA e grandissimo teologo della liberazione, bisogna «hacerce cargo, cargar y encargarse de la realidad», cioè farsi carico della realtà, ossia conoscerla realmente e viverla, assumere il compito di trasformarla mettendo l’intelligenza al servizio della prassi e accettandone la responsabilità etica.
Lui e i suoi confratelli lo fecero fino alla morte.
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