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Il dramma degli sfrattati non si cancella con una firma

La manifestazione dei senza tetto a Palermo ci pone, per l’ennesima volta, dinanzi ad un vecchio problema che questa città non riesce a risolvere (anche perché poco ci si prova!). Il problema della casa, infatti, coinvolge oggi centinaia di famiglie: uomini, donne, bambini, vecchi e giovani, cittadini che non hanno un posto decoroso in cui vivere. Per tutti costoro la quotidianità è una lotta all’indigenza, una continua ricerca di escamotage per la sopravvivenza, un “tirare a campare” che mortifica la dignità, abbrutisce lo spirito e il corpo. La povertà – complice anche la crisi dell’economia italiana – cresce, nonostante la patina dorata decantata da certa propaganda. La città cool nasconde sacche di marginalità e degrado che cercano di fare sentire la propria disperazione.

Si tratta di un universo variegato che reagisce diversamente alle avversità dell’esistenza. Ci sono tanti che vivono tacitamente e con profonda dignità la propria condizione di povertà, chiedendo aiuto a testa bassa a parenti, amici e associazioni. Ci sono quanti periodicamente manifestano la loro rabbia urlando quello che ritengono un proprio diritto. Ci sono coloro che manifestano pacificamente cercando di dare visibilità ad un problema che si cerca troppo spesso di tenere nascosto, come la polvere sotto il tappeto.
Certamente non si vogliono legittimare violenze o prevaricazioni, né consentire che l’azione di forza sottragga il medesimo legittimo diritto a chi attende in silenzio l’assegnazione di una casa popolare. Si tratta, invece, di individuare soluzioni e di avviare una seria politica abitativa, ponendo fine ai ripieghi di emergenza basati su interventi che tamponano senza risolvere. L’efficacia nell’azione pubblica, infatti, è garantita solamente se inquadrata all’interno di politiche coerenti che perseguano strategie e obiettivi definiti e ben delineati.
Oggi è necessario tamponare l’ennesima crisi e dare un tetto a chi è costretto a vivere per strada. Fatto ciò, però, è importante non ritenere la problematica esaurita ma attivarsi concretamente per non ritrovarsi ancora una volta dinanzi alla medesima situazione.
A tal fine a nulla servono ordinanze restrittive che tendono solamente a ripristinare l’apparente ordine pubblico. Non è imbavagliando il dissenso e il disagio che si risolve il problema ma agendo sapientemente, come merita una grande città europea. Servono, pertanto, politiche pubbliche articolate, proposte mirate, percorsi risolutivi (di cui purtroppo, fino ad oggi, questa Amministrazione non si è dimostrata capace.)
Non si tratta neanche di perdersi nel gioco dei veti che inibiscono ogni decisione. Chi governa deve essere in grado di fare scelte e progetti, con determinazione ma non in modo arbitrario. In tal senso, la ricerca di strategie risolutive dell’emergenza abitativa potrebbe essere l’occasione per avviare un percorso partecipato di elaborazione di una coerente e organica politica pubblica che non sia meramente assistenziale ma possa coinvolgere i diretti interessati, accompagnando chi versa in una condizione di difficoltà verso una progressiva conquista di autonomia. La dipendenza, infatti, genera altra dipendenza in un circolo vizioso senza via d’uscita, di cui unici beneficiari sono la criminalità e la politica della clientela.
Imboccare la strada della partecipazione consente di allargare la ricerca di soluzioni ad altri soggetti
della società civile, dell’università, dell’imprenditoria, oltre che ai diretti interessati. Ognuno di questi può apportare il proprio originale contributo alla risoluzione dei problemi del territorio. La principale sfida consiste nell’elaborare una politica che non gravi esclusivamente sulle già dilapidate casse pubbliche (siamo alla vigilia del dissesto finanziario) ma che individui canali di finanziamento alternativi, legati, per esempio, a fondi di privati, di banche e a risorse comunitarie. L’importante è, però, che si individui un percorso coerente e innovativo, che rompa con il passato e si ponga in una nuova ottica risolutiva, ponendosi in ascolto delle tante buone pratiche realizzate a livello nazionale ed europeo.
Il lavoro tecnico e politico che potrebbe in tal modo delinearsi deve essere accompagnato dalla sensibilizzazione della cittadinanza. Spesso si assiste ad una criminalizzazione dell’indigente, considerato pericoloso e deviante. Il povero rappresenta un’alterità ignorata, cacciata ai margini della vita civile. Eppure non possiamo chiuderci nelle nostre case confortevoli fingendo che il problema non esista. Non possiamo dimenticare che ogni giorno c’è chi non ha un tetto sotto cui rifugiarsi, sotto cui creare una propria intimità familiare e dare un futuro ai propri figli. Non possiamo relegare ai margini della nostra coscienza tutto ciò ma dobbiamo porre attenzione a chi ci sta accanto, alle sue esigenze e alle sue debolezze. La città deve coinvolgersi e non lasciare che questi drammi siano tanto vicini geograficamente quanto lontani emotivamente.
Anche l’aristocratico distacco dei “garantiti” è inquietante. Certamente si fanno “illuminate” dichiarazioni di intenti sul futuro assetto urbano, si delineano scenari entusiasmanti e poi non accade nulla, tutto come prima. È essenziale, invece, adoperarsi per inaugurare una nuova stagione di buon governo. Perché, dinanzi a questo stato di cose, non esprimiamo la nostra indignazione? Perché non ci attiviamo più concretamente per creare una nuova classe politica capace di progettualità ma anche di reperire risorse provenienti dalla parte viva della città da reinvestire per favorire uno sviluppo economico e sociale? Allora anche il pianto dei bambini di piazza Pretoria (e di tanti altri come loro) potrebbe trasformasi in un solare sorriso alla vita.

Gianni Notari

La Repubblica – ed. Palermo
18/09/2008

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