Alberto Piacentini, borsista della X edizione del Programma di ricerca Idea – Azione, ha condiviso nei giorni scorsi presso il nostro Istituto il proprio percorso di ricerca sul tema dei maltrattamenti in famiglia e della violenza domestica e di genere. La sua ricerca muove dal desiderio di interrogarsi su un tema che riguarda tutti e che ha incrociato la sua storia personale quando a Palermo il 19 ottobre del 2012 Carmela Petrucci, sua compagna di scuola, venne uccisa dall’ex fidanzato della sorella Lucia.
Uno dei principali risultati conseguiti dal lavoro di ricerca di Alberto, avvocato e funzionario del Tribunale di Palermo, anche grazie agli stimoli offerti dal nostro Istituto, è stata la sua progressiva apertura ad un approccio interdisciplinare circa gli strumenti da adottare per contrastare i fenomeni da lui studiati; nel corso dei 18 mesi di lavoro, lo sguardo di Alberto ha sempre più integrato la riflessione giuridica, a lui più congeniale, ad ambiti di riflessione sociale, culturale, politica, pedagogica provando a proporre una lettura globale dei fenomeni oggetto della sua ricerca. Ciò lo si evince dalla scelta dei relatori[1] intervenuti, dai risultati della ricerca ma soprattutto dalla capacità di entrare in ascolto e connessione con la realtà e cioè con le storie delle persone incontrate durante l’esperienza trascorsa presso alcuni centri antiviolenza di Bologna e di Palermo.
E proprio l’esperienza, prevista dal Programma di ricerca Idea – Azione alla luce delle indicazioni del paradigma pedagogico ignaziano[2], ha permesso una rilettura della proposta progettuale iniziale e una sua riscrittura che è l’esito del confronto tra l’approccio teorico iniziale e il contatto diretto con la realtà.
Questa metodologia di ricerca unisce la ricerca scientifica con l’azione sociale e si pone in continuità con gli obiettivi di Idea – Azione che promuove un approccio alla ricerca non competitivo o autoreferenziale ma cooperativo e teso a trovare strumenti concreti per apportare cambiamenti benefici ai territori e alle comunità che li abitano.
Partendo da un’analisi giuridica del concetto di vulnerabilità presente nella disciplina sovranazionale e nazionale e nella prassi giurisprudenziale, la tesi analizza i vantaggi e le criticità dell’attuale ordinamento giuridico italiano in tema di prevenzione, protezione e contrasto alla violenza di genere.
Basta solo il diritto?
Proprio la visione interdisciplinare dei fenomeni e l’attenzione alla dimensione pratica e sostanziale conducono a illustrare come – nonostante un quadro legislativo e normativo che in astratto garantirebbe una uguaglianza tra i generi – non vi sia altrettanta consapevolezza culturale nelle istituzioni e nella società tale da contrastare efficacemente quella che costituisce una violazione dei diritti umani delle donne. Più in particolare, nel corso del suo intervento, la professoressa Mangiaracina, dopo avere illustrato i principali strumenti di prevenzione, protezione e contrasto previsti a livello sovranazionale e nazionale, ha evidenziato come il tasso dei reati[3] in materia continui a crescere. Ciò porta inevitabilmente a chiedersi cosa non funziona effettivamente; in tale contesto, appare indifferibile il contributo che ciascuno di noi può dare nell’ambito “dell’educazione delle nuove generazioni alla non violenza e al rispetto degli altri”.
Un prima e un dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin: la “flagranza differita” a livello operativo
Successivamente, il commissario capo Cristina Rizzo, funzionario addetto all’ufficio volanti della Questura di Venezia, ha fornito alcune indicazioni su come si sviluppa a livello operativo il primo contatto tra la vittima e la Polizia. Il primo strumento è sicuramente il numero 113 alla cui chiamata l’operatore attiva un canale preferenziale nei casi di violenza di genere e domestica. Esiste inoltre dal 2020 un’applicazione della Polizia di Stato chiamata Youpol che consente di mettersi in contatto con un operatore tramite un messaggio e di inviare segnalazioni, anche in forma anonima, allegando video, audio, immagini e testo.
Grazie all’applicazione di appositi protocolli (SCUDO, EVA), è possibile lasciare traccia all’interno di una banca dati di tutti gli interventi effettuati, anche di quelli per cui non è stata sporta denuncia. Questa “memoria storica” costituisce uno strumento molto importante che consente di dimostrare l’abitualità della condotta nel caso di più segnalazioni.
In seguito all’approvazione della Legge 24 novembre 2023, n. 168 recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, si ampliano i reati per cui è possibile applicare la misura precautelare della “flagranza differita” che viene definita dal commissario come “vincente”. Più in particolare, attraverso un documento auto-evidente (documenti video, fotografici o tratti da dispositivi di comunicazione informatica o telematica) di episodi di violenza, minaccia o aggressione alla persona, integranti i reati di maltrattamenti in famiglia, o stalking ovvero connessi alla violazione delle misure dell’allontanamento dalla casa familiare o divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, è possibile arrestare il presunto autore del fatto entro 48 ore.
La misura della “flagranza differita”, insieme alla “memoria storica” presente nelle banche dati, ha permesso di dimostrare l’abitualità della condotta e di arrestare – racconta il commissario – un autore di questi reati a due mesi dall’introduzione della riforma.
Centri Anti Violenza: mancano le risorse finanziarie
“I Centri antiviolenza non sono adeguatamente e costantemente finanziati, si investe ancora troppo poco”: ce l’ha ricordato Mara Cortimiglia, la presidente del Centro Antiviolenza Le Onde Onlus di Palermo, che sottolinea come la fuoriuscita dalla violenza sia un percorso che richiede del tempo e che non può essere trattata in maniera esclusivamente emergenziale. Agli interventi effettuati attraverso il Pronto Intervento Sociale del Comune di Palermo, dovrebbe infatti seguire una continuità progettuale dell’intervento che spesso, a causa di un sovraccarico di lavoro dei Servizi Sociali o di una mancanza di protocolli tra i servizi, può essere messa a rischio.
Prevenzione: la parola all’educazione civica e di genere e alla politica
“È dunque indispensabile – come sostengono Giuseppe Verrigno e Marcello Longo – la prevenzione culturale alla violenza di genere che traduca il nostro statuto costituzionale e normativo in una coscienza sociale. Al fine di arginare questa emergenza sociale e giungere ad una vera uguaglianza serve combattere la prevaricazione e la cultura patriarcale che non si può limitare al diritto penale” dice Giuseppe Verrigno che, con l’associazione Politeia, promuove nelle scuole secondarie della Sicilia percorsi di educazione civica.
Su quest’ultima il legislatore appare ancora molto carente: la legge 92 del 20 agosto 2019 che introduce l’insegnamento trasversale dell’educazione civica nel primo e secondo ciclo d’istruzione, non tiene infatti conto dell’educazione di genere.
È tuttavia altresì indispensabile – tenuto conto anche dei fenomeni di dispersione scolastica – coinvolgere altre “agenzie” e spazi educativi per un “patto educativo” con le istituzioni e con la politica, che per Marcello Longo “ha il dovere di potenziare le politiche giovanili e sociali”.
“Perché dunque non introdurre un’educazione sentimentale e di genere nelle scuole che sensibilizzi al rispetto e alla diversità?”: è quanto si chiede Alberto nelle conclusioni della sua ricerca quando afferma che per un vero cambiamento è necessario agire sul substrato culturale al fine di scardinare logiche di dominio e di possesso sulle persone. E su questa scia si innesta l’azione che Alberto metterà in campo nei prossimi mesi e che si pone l’obiettivo di mettere in dialogo i risultati della ricerca con strumenti e metodi per la loro applicazione concreta: in collaborazione con l’associazione Politeia, sarà infatti offerto ad alcuni istituti superiori della città di Palermo un percorso volto a sensibilizzare le nuove generazioni ai temi della violenza di genere e dell’educazione all’affettività. Un’attività, questa, di certo non risolutiva ma che speriamo possa aiutare i partecipanti alle proposte formative che nasceranno da questo percorso di ricerca a riflettere sul modo di vivere le proprie relazioni affettive.
[1] Diversa è infatti l’estrazione dei relatori scelti dall’autore della ricerca; sono infatti intervenuti Gianni Notari, direttore dell’Istituto Arrupe e sociologo; Marcello Longo, presidente dell’Ottava Circoscrizione del Comune di Palermo; Massimo Massaro, coordinatore del Programma di ricerca Idea – Azione e tutor pedagogico della ricerca; Emanuele La Rosa, associato di Diritto Penale all’Università di Messina e tutor scientifico della ricerca; Annalisa Mangiaracina, ordinaria di Diritto Procedura penale all’Università di Palermo; Cristina Rizzo, commissario Capo della Polizia di Stato presso la Questura di Venezia; Mara Cortimiglia, coordinatrice del Centro Antiviolenza Le Onde Onlus di Palermo e Giuseppe Verrigno, dottorando all’Università del Piemonte Orientale, fondatore dell’associazione Politeia.
[2] Tale approccio pedagogico trova la sua specificità nella successione delle fasi di contesto, esperienza, riflessione, azione, valutazione.
[3] Dai dati forniti dal Servizio di Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale emerge un incremento del reato di maltrattamenti in famiglia: ben 2.843 casi, cresciuti del 6% dal 2022 e più che raddoppiati dal 2013.